1. All’epoca della sua realizzazione, il Giudizio Universale della Cappella Sistina fu oggetto di critiche molto aspre ed il suo autore rischiò persino l’imputazione di eresia, con accuse di oscenità e tradimento della verità evangelica.
Quei corpi troppo poco santi, nudi e in pose sconvenienti, furono bollati come indecorosi al punto da essere rivestiti, fino agli anni ’90 del 1900, dai panneggi svolazzanti di Daniele da Volterra, noto perciò con il soprannome di “Braghettone”.
2. Nel 1863 la giuria del Salon parigino boccia ben 3000 quadri. Tra questi viene scartato anche il dipinto di un giovane Edouard Manet.
La tela rappresenta due giovanotti borghesi in compagnia di due donne, una seduta vicino a loro completamente nuda e con lo sguardo fisso sull’osservatore, l’altra sullo sfondo, intenta a bagnarsi nel fiume.
Il titolo dell’opera è "Le déjeuner sur l’herbe" e fu la protagonista in negativo del Salon des Refusés: fu la più criticata, quella che fece più scandalo.
Cosa veniva rimproverato all’artista? Per prima cosa l’aver messo una donna nuda tra due uomini vestiti.
3. “La carta da parati allo stato embrionale è più rifinita di questa marina.”
Questo è ciò che scrisse il 15 aprile 1874 Louis Leroy sulla rivista satirica “Le Charivari” dopo una visita alla prima mostra impressionista nello studio del fotografo Nadar in boulevard des Capucines 35.
È solo un piccolissimo estratto di un articolo in cui il critico d’arte, fingendo di accompagnare un pittore accademico, stronca in toto la nuova pittura di questi giovani artisti. Nello specifico la suddetta frase è riferita al dipinto di Claude Monet intitolato Impression. Soleil levant e proprio dal titolo prende spunto per creare il suo sberleffo ("impression" in francese significa anche stampa).
4. Ambroise Vollard, il leggendario mercante di quadri parigino, ricorda nelle sue memorie che quando, intorno alla fine dell’800, aveva offerto un nudo di Renoir a un grande collezionista per quattrocento franchi, si sentì rispondere: “Se ne avessi quattrocento da buttare via, comprerei questa tela per bruciarla davanti a lei nel caminetto, tale è la pena che provo nel vedere la firma di Renoir sotto un nudo così mal disegnato.”
5. Quando il quadro "Nudo che scende le scale" fu presentato nel 1912 al Salon des Indépendants, venne rifiutato dalla commissione.
In quegli anni, fra gli artisti avanguardisti, andavano per la maggiore le idee cubiste e il Nudo non era in linea con la tendenza ufficiale, anzi, fu considerato una presa in giro al movimento cubista.
La cosa che più di tutto dava fastidio era il titolo “…pensavano fosse troppo letterario, ma lo prendevano per il verso sbagliato, quasi caricaturale. Un nudo non scende mai le scale, un nudo è sdraiato, si sa. Nemmeno il loro piccolo tempio rivoluzionario riusciva a capire che un nudo poteva scendere le scale.” (Marcel Duchamp)
Un anno dopo il dipinto fu esposto a New York all’Armony Show, la grande Esposizione internazionale di arte moderna ideata per introdurre in un’America ancora troppo legata alla pittura accademica, le sperimentazioni delle avanguardie europee.
Se a Parigi il quadro aveva suscitato l’indifferenza generale, negli Stati Uniti divenne la principale attrazione della manifestazione generando un grande scandalo.
I giornali si sbizzarrirono con le prese in giro: “Esplosione in un deposito di tegole”, “Rozzo che scende le scale – metro all’ora di punta”.
L’American Art News indirà addirittura un concorso offrendo dieci dollari alla migliore descrizione del quadro. Ancora una volta fu il titolo a fare scandalo, “Non si dipinge un nudo che scende le scale, è ridicolo. Un nudo deve essere rispettato. Ci fu anche un’offensiva sul piano religioso, puritano.”
6. “La cultura da noi è ancora in balia di un provincialismo ridicolo e fazioso.”
Queste sono le parole di Palma Bucarelli, storica direttrice della Galleria d’arte moderna di Roma.
Da dove arrivava questo sprezzante giudizio? Per ben due volte la prima donna italiana direttrice di un museo aveva dovuto difendere le sue scelte non solo di fronte alla stampa e ai critici, ma persino davanti alla politica italiana.
Nel 1959, in occasione dell’esposizione del Grande Sacco di Alberto Burri, il senatore comunista Umberto Terracini porrà una questione in Parlamento: “Quale cifra è stata pagata dalla Galleria nazionale d’arte moderna per assicurarsi la proprietà della vecchia, sporca e sdrucita tela da imballaggio che sotto il titolo di Sacco Grande è stata messa in cornice da tale Alberto Burri e che figura attualmente nella sala dedicata ai nuovi acquisti di detta Galleria.”
Nel 1971 a far scandalo saranno invece le scatolette di Merda d’Artista di Piero Manzoni e questa volta sarà il deputato democristiano Guido Bernardi a scagliarsi contro la Bucarelli e a portare la questione in Parlamento, con risvolti che sfiorano il ridicolo: “anche se inscatolata a tutela dell’igiene pubblica e frutto obbligato di una normale digestione, quali garanzie ha il pubblico circa la sua autenticità?”
In entrambi i casi, la direttrice ne uscirà vincitrice e metterà a segno un punto a favore contro l’ignoranza e l’intromissione della politica nel mondo della cultura.
Ed ora, se volete, parliamo di Christo e dell'Arc de Triomphe…