Innanzitutto: perché "a distanza"?
Si è "a distanza" con qualcuno/qualcosa con cui non si è "in contatto" (lapalissiano, no?..).
Ma forse mia figlia deve urlare alla maestra per farsi sentire, come se fosse una piccola Heidi che gioca con l'eco rimandata tra i monti delle verdi e soleggiate vallate svizzere?
No.
Anzi. Meglio che non urli, perché c'è papà che sta lavorando nello stesso modo, mamma invece anche e la sorellona che fa altrettanto in un'altra stanza...
Può sembrare un dettaglio, ma già chiamarla così identifica un approccio illogico, diffidente, pieno di pregiudizi: "guarda che ti insegno a distanza!.."
Non sarà che il problema non è (solo) la tecnologia?
La scuola in Europa, con un'unica eccezione, è stata "ammodernata" basandosi sempre e solo sul modello di istruzione di massa iniziale: la didattica ottocentesca.
Sono stati aggiornati i programmi, le materie, perfino il linguaggio usato in classe e le gerarchie, ma l'approccio è rimasto lo stesso.
Una bella lezione frontale, con ruoli "distanti" (insegnante di qua, studenti di là) secondo uno schema di lavoro tipico dell'amministrazione pubblica e privata dei tempi di Giolitti.
Se poi l'insegnante deve giocoforza usare un computer per fare lezione, lasciamo che si aggiusti: oggi chi non è capace ad usarne uno?
Risposta: molti. Troppi.
Insomma, sta benedetta scuola finisce sempre in mezzo alla bufera ma a tutto si pensa, compresi i banchi a rotelle, tranne che ad affrontarne l'inadeguatezza al mondo di oggi.
Teniamocene "a distanza".
[ per approfondire ]
Sir Ken Robinson e la fuga dalla Valle della Morte della Scuola
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