[ Prologo ]
Parigi, a novembre, sa essere tutto ed il contrario di tutto.
Come se volesse cambiare vita, aspetto, identità.
Ti tratta come una ragazzina capricciosa, sempre alla ricerca di non si sa bene
cosa, di esperienze sempre nuove, eccitanti, memorabili.
Io, in quel periodo, proprio non sentivo il bisogno di tutto questo.
Quello che stava succedendo nella mia vita, da un po' di tempo, mi era più che
sufficiente.
Da quando avevo raggiunto Amandine a Parigi, il presente ed il futuro che
avevo immaginato avevano una faccia che non corrispondeva affatto a quella
della mia partenza da Torino.
La città, la capitale di Francia, beh quella la conoscevo abbastanza bene ormai.
Dopo che avevo conosciuto Amandine, durante uno suo stage di danza a
Torino ed avevamo iniziato a frequentarci, era stato un continuo avanti-indietro
dalla Ville Lumière.
Lei stava cercando con tutte le sue forze di entrare a far parte stabilmente
dell'Opéra Garnier e capivo bene come per lei fosse impossibile mettere
qualcos'altro, o qualcun altro, in cima alle sue priorità.
Però, era comunque scoccata la scintilla.
Ci eravamo perduti una nell'altro, come solo un innamoramento improvviso sa
provocare.
Tutti i giorni passavo a prenderla nel tardo pomeriggio allo stage, in via
Lagrange, e poi iniziavamo a girovagare per Torino, sotto molti aspetti così
simile a Parigi. La più francese delle città italiane.
Cenavamo nei bistrot del quartiere latino, vicino alle Porte Palatine e poi,
spesso, seguivamo alcuni amici musicisti nei locali del centro e della collina. La notte c'era tempo e spazio solo per l'amore, aggressivo e sensuale come lei:
un felino feroce, a cui non bastavano le lunghe ore di allenamento e di danza
per esaurire l'energia che le esplodeva dentro.
Amandine era diventata un'ossessione, ormai. L'avrei seguita in capo al mondo.
E in più, quel capo del mondo era Parigi, la città dei miei sogni, l'unico luogo
della Terra in cui mi sarei perso volentieri e per sempre.
Dopo una breve ricerca, nonostante il suo contratto da stagionale dello
spettacolo e la mia condizione di espatriato fresco fresco, senza arte né parte,
non ci fornissero particolari garanzie per ottenere un appartamento in affitto,
trovammo una sistemazione a Rue Denoyez, a Belleville.
[Rue Denoyez, XIX arr. - foto di Myrabella ]
Sembrava di vivere dentro una cartolina in stile bohémien. Un quartiere unico,
con la sua storia di luogo simbolo dell’insurrezione e della nascita della Comune di Parigi, i natali ad Édith Piaf, Maurice Chevalier e poi le immigrazioni:
prima quella ebraica, negli anni ‘50, poi quella asiatica, trent’anni dopo.
Lei ballerina all'Opéra Garnier, io giovane e spiantato produttore TV italiano di
belle speranze.
Uscivo di casa e mi sentivo in un film, anzi più di uno. Passavo dal periodo della
nascita dei primi sindacati, in quel quartiere operaio che aveva dimenticato le
vigne di un tempo, al varietà teatrale a cavallo della guerra, fino alle
avanguardie artistiche multi-etniche di oggi, che popolano la strada dove
abitavamo.
Qualcosa che mi trasmetteva delle sensazioni uniche, da brivido, come quel
novembre che si annunciava molto movimentato.
Quando arrivavamo con il TGV da Torino alla Gare de Lyon, io prendevo i nostri
bagagli personali, rigorosamente uno a testa e che rappresentavano la nostra
vita al seguito. Amandine, invece, prendeva la metro 1 e filava dritta dritta
all’Opéra, quasi sempre in ritardo. Il che mi spiegava, almeno in parte, perché i
parigini vadano sempre così di fretta. Per contro, restavano alcuni buchi neri
nella sua giornata che mi tormentavano le viscere, quel morso atroce che non
si riesce mai a metabolizzare con la ragione, quando si è innamorati.
Anche l’Opéra Garnier ha due identità distinte e separate.
C’è l’Opéra ammirata dai turisti, con la sua maestosa imponenza monumentale,
aperta su una delle poche piazze ampie del IX arrondissement. Parigi ha una
concentrazione urbanistica da capogiro, per chi è abituato a spazi più
"normali". Circa otto milioni di individui stipati su una superficie che è un terzo
di quella di Roma, che di abitanti ne ha meno della metà.
C'è l’Opéra degli spettacoli, capace di meravigliare ed affascinare ogni volta che
apre le sue porte al pubblico.
[ il soffitto della sala dell’Opéra Garnier affrescato da Chagall – foto M. Bena ]
E poi c’è "l’altra" Opéra. Quella degli addetti ai lavori che, per gli artisti, significa
iper-competitività, sessismo, guerre dirette ed indirette senza alcuna esclusione
di colpi, mobbing ed istigazione continua a diete suicide.
Eppure per Amandine era tutta la sua vita. E vedendola danzare si poteva
capire facilmente il perché, anche se non capivo nulla di balletto.
La tristezza era vedere nei suoi occhi che, quella che era nata come una
passione ispirata da un talento innato, si era trasformata in una condanna a
vita, in cui si erano smarriti per strada i motivi che l’avevano spinta fin da
bambina a studiare danza. Era incatenata ad una ruota irrefrenabile, ad un
ciclo continuo di cause ed effetti malsani. Ma era impossibile discuterne con lei:
se mai fosse stata in grado di analizzare con lucidità la sua quotidianità e staccarsene si sarebbe sentita persa, la sua vita completamente svuotata di
ogni missione, di ogni senso.
Sapevo che per noi non c'era la possibilità di immaginare una famiglia. Almeno
fino al termine della sua carriera attiva. E ammesso che quella carriera avesse
portato dei risultati all’altezza dei sacrifici. Ma non volevo pensarci, perché ero
innamorato e mi bastava il “qui” e “ora”.
Poi, quel mercoledì mattina, due telefonate cambiarono per sempre la mia vita.
A metà mattinata mi chiamò una mia collega da Roma.
“Marcello, hanno chiamato quelli di France24. Stanno cercando un producer
italiano che sia a Parigi e che parli francese. Stanno facendo un documentario
sull’immigrazione italiana del dopoguerra e lunedì girano un’intervista alla
Bellucci. Ti interessa contattarli?”.
“Mi interessa?..” Nella mia vita avevo sentito poche domande così superflue.
Lavorare. A Parigi. Nel mio settore, senza essere costretto a fare il lavapiatti o il
cameriere in una delle decine di pizzerie ristoranti più o meno italiani della
città… mi sembrava troppo bello per essere vero. Mi ripresi dallo choc:
“Cristina, certo che mi interessa! Non ti ricordi che avevo organizzato la loro
presentazione in Italia, a Palazzo Farnese? Mandami il numero via sms, li
chiamo subito!”.
Era vero. Quando France24 aveva iniziato la sua attività di canale televisivo all
news si era presentata subito anche in Italia.
Jean-Marc de la Sablière, all’epoca ambasciatore di Francia in Italia, aveva
organizzato la presentazione ufficiale del canale a Roma. Ero riuscito ad
esserne il responsabile di produzione, come sempre più per caso che per
merito, e furono due giornate di lavoro in cui avevo respirato l’aria di Parigi mentre potevo osservare Campo de’Fiori dalle finestre della Sala d'Ercole
dell'ambasciata: si può chiedere di più? Certo che sì ed era proprio ciò che
stavo per fare.
Chiamai subito, appena Cristina mi aveva girato il numero. Mi presentai
brevemente, ricordai all’assistente al telefono che avevo già lavorato per loro,
che ero in pianta stabile, si faceva per dire, a Parigi e che ero disponibile da
subito.
Mi mise in attesa, il tempo di girare l’informazione al suo responsabile e poi
riprese la linea: “Bene, Monsieur Donati! Può venire alla nostra sede, ad Issy
les-Moulineaux, per incontrare il responsabile del progetto? L’aspettiamo alle
tre”. La mia risposta era scontata, naturalmente. Mi diede l’indirizzo, me lo
scrissi sulla mano, mentre mi dirigevo alla boulangerie dell’angolo, per
celebrare la telefonata con un sontuoso pain au chocolat appena sfornato.
E alla tre, puntuale come una rata del mutuo, ero lì, a parlare con il direttore del
programma.
“Abbiamo visto il suo CV su LinkedIN, Marcello, ed abbiamo parlato con i
colleghi dell’evento a Roma. Siamo felici che si sia trasferito qui da noi, la
comunità italiana rappresenta da sempre una risorsa importante per Parigi e la
Francia. Poi, insomma, un’intervista alla Bellucci ci sembra un ottimo modo per
iniziare una collaborazione, n’est ce pas?” - “Olivier, la ringrazio, non potrei
chiedere di meglio. Sarò felice di essere dei vostri. Quando cominciamo?”. Il
direttore inforcò gli occhiali da lettura, cercò i suoi appunti sul tavolo di
redazione e girandosi mi disse: “facciamo il sopralluogo domani mattina alle
8:30. Abbiamo un’ora di tempo, poi Madame Bellucci è occupata, ha altri
impegni. È nel XIII, boulevard Arago, poi Sophie le girerà il civico. Ci vediamo lì!”.
Lo guardai probabilmente con un’aria stranita. A dipingerla sul mio volto non
era tanto l’idea di potermi ritrovare vis-à-vis con una donna importante e bellissima come la Bellucci. Non era la prima volta che avevo a che fare con una
star internazionale. Ma la rapidità e l’apparente facilità con cui mi ero ritrovato
a quel punto della storia mi avevano lasciato stordito. Cercai di riprendermi.
“Ça va, Marcello? Vous allez bien ?”. Certo che stavo bene. Erano mesi che non
mi sentivo così bene.
Appena superata la sbornia da neo-incarico, iniziai a fantasticare su come avrei
potuto comunicare la notiziona ad Amandine, mentre il buio iniziava ad
avvolgere il lungo Senna.
Ma non feci in tempo a formulare un’ipotesi che squillò ancora il cellulare.
“Bonjour Monsieur. C’est l’Hôpital Pitié Salpêtrière. C’est vous qui connaissez
Madame Amandine Giroud ?”. - “Oui, c’est moi. Qu’est-il arrivé à Amandine ?”.
Ero a due passi dalla stazione della RER C, a Val de Seine. In mezz’ora potevo
arrivare all’ospedale, mentre a quell’ora della sera in taxi ci avrei messo quasi il
doppio. In ogni caso, mentre il treno infilava una dopo l’altra le gallerie che
fiancheggiano il fiume, fino ad arrivare alla Gare d’Austerlitz, i miei pensieri
erano tutti per Amandine. La felicità per il nuovo incarico si era dissolta come
neve al sole. Il cuore batteva forte e mi tormentavo chiedendomi cosa potesse
essere successo. Come da procedura, al telefono non mi era stato comunicato
nessun dettaglio sul suo stato di salute.
Arrivai al reparto sbuffando come una vecchia caffettiera. La Pitié Salpêtrière è
una città dentro la città e, se ti ci perdi, ti ritrovano dopo anni. Probabilmente
cadavere.
[ EPILOGO ]
Entrai in segreteria e la responsabile capì subito chi ero.
“Prego, si sieda qui. Ora arriverà il mio collega per spiegarle la situazione”.
Non capivo se quelle parole mi dovessero tranquillizzare oppure il contrario,
ma non c’era molto da fare se non aspettare.
Dopo una manciata interminabile di secondi, apparve un medico urgentista
che, come tutti i suoi colleghi, non offriva una grande varietà di espressioni
facciali: sono abituati a comunicare brutte notizie e devono farlo nella maniera
più neutra, distaccata e professionale possibile. Altrimenti anche loro, dopo
breve tempo, finirebbero nel regno dei più.
“Bonjour Monsieur. Lei è Marcello, l’amico di Amandine?” - annuii con la testa, la
bocca secca come il Sahara. “Madame ha avuto un infarto durante le prove del
balletto. È stata trasportata qui d’urgenza ma stia tranquillo. È fuori pericolo.”
Un infarto. Fuori pericolo. Cos’era successo?
“Purtroppo, dalle analisi che abbiamo potuto fare finora, risulta un uso
eccessivo di anfetamine da parte della signora. Stimolanti e calmanti usati in
rapida successione, probabilmente in base alle necessità del momento. E
questo sta andando avanti da parecchio. Lei ne sa qualcosa?”
Ero completamente tramortito. “No, non sapevo che ne facesse uso. Non l’ha
mai fatto in mia presenza… anche se so che… beh, insomma, nell’ambiente…”.
Il medico mi guardò severo negli occhi, la domanda traspariva evidente: “hein,
mon pote, gliela procuri tu, la roba, alla tua amichetta?”. Poi, evidentemente,
realizzò che non avevo la stoffa dello spacciatore e assunse l’aria del buon
padre di famiglia.
“Madame dovrà restare a riposo per un bel po’ di tempo, una volta che
l’avremo dimessa. Il che non succederà prima di una settimana. Abbiamo chiamato lei perché abbiamo trovato un biglietto con il suo numero negli effetti
personali della sua amica, con l’annotazione Paris…” - Ah, è vero: ricordavo che
aveva aggiunto il mio numero francese sul biglietto in cui le avevo annotato
quello italiano, quando ci eravamo conosciuti. “Nel frattempo abbiamo
contattato la sorella, che vive in Auvergne. Si è detta disponibile ad accogliere la
signora per la convalescenza. Un periodo di calma, nella campagna del sud-est,
non potrà che farle bene. Ora dorme, ma se vuole può vederla un momento”,
continuò il medico.
Mi accompagnò alla stanza dove Amandine riposava. Aveva ancora il viso
stravolto e un’espressione di sofferenza che lasciava capire che non era stata
una situazione facile da affrontare.
“È giovane, forte. Se elimina l’uso di quelle sostanze si riprenderà senz’altro”,
disse il medico, abbozzando un quasi-sorriso e si allontanò.
Io restai ancora qualche minuto ad osservare Amandine. Improvvisamente mi
accorsi di non sapere nulla di lei, della sua famiglia, della sua vita. C’era stata la
voglia di entrambi di annullarsi in una passione senza prospettive, quasi con il
desiderio implicito di distruggerci reciprocamente.
Uscii dall’ospedale e mi avviai verso Belleville a piedi. Non avevo fretta, solo
tanti pensieri da mettere in ordine. Con calma.
E poi, il mattino dopo, avevo un appuntamento con Monica Bellucci.