Ogni volta che visitiamo un museo importante ci imbattiamo puntualmente in grandi dipinti che raffigurano tante battaglie della Storia.
In questi giorni, in cui i telegiornali di tutto il mondo riversano nei nostri occhi migliaia di immagini della guerra in Ucraina, viviamo quasi inconsapevoli la tragedia che si sta consumando, tanto siamo ormai assuefatti al continuo apparire sui nostri schermi di scene di violenza e distruzione.
La differenza tra lo spirito epico con cui venivano raffigurati gli scontri di un tempo ed il drammatico realismo dei reportage di oggi l’ha fatta la fotografia.
Fotografia che ha avuto una tale presa sul pubblico che, con lo sviluppo tecnologico, ha anche portato prima il cinema, poi la televisione ed infine, ai giorni nostri, lo streaming, dentro le trincee ed in prima linea.
Una differenza ancora più invasiva della nostra sensibilità se si pensa che un tempo le battaglie erano combattute dagli eserciti contrapposti, ma difficilmente coinvolgevano direttamente dei civili. Ciò che succedeva dopo, a seguito del risultato della battaglia, era un altro affare.
Ma con il coinvolgimento diretto delle popolazioni, diventate sempre più ostaggio dei conflitti, la rappresentazione visuale della guerra ha assunto un’importanza sempre più decisiva, anche nel mostrare in maniera inconfutabile i peggiori crimini di guerra.
Cosa sarebbe della narrazione dell’Olocausto senza le foto che i reporter di guerra scattarono all’arrivo nei campi di concentramento appena liberati? o delle tante guerre fomentate, e poi dimenticate, lontano dai nostri sguardi ma altrettanto terribili e devastanti?
Così ho voluto capire come sia nato il reportage di guerra e sono risalito, si potrebbe dire per i ricorsi della Storia, alla guerra di Crimea del 1853.
La stessa Crimea, che ora fa da scenografia alla guerra di questi giorni, fu teatro di un conflitto sanguinosissimo (alla fine si contarono circa 260.000 morti), che vide contrapposti impero russo, da una parte, e la coalizione composta da impero ottomano, Francia, Inghilterra e regno di Sardegna dall’altro.
Per me, torinese di nascita, i nomi di Crimea, Sebastopoli e di Cernaia sono sempre risuonati familiari. Torino ancora chiama con questi nomi dei punti importanti della città, conservando la memoria della partecipazione dell’esercito sabaudo, comandato dal generale Alfonso La Marmora, a quella spedizione così lontana dalle lande piemontesi (soprattutto a quei tempi).
Fu il Times di Londra che volle spedire al fronte il primo, vero reporter di guerra della storia del giornalismo: l’irlandese William Russell, inviato al seguito del corpo militare inglese nei punti nevralgici del conflitto, a partire dalla primavera del 1854.
E IL PRIMO FOTOREPORTER?
A mandare un fotografo ufficiale fu invece la regina Vittoria in persona, che per quella campagna militare voleva un servizio illustrato (il primo del genere) che desse un'immagine eroica dell'impresa britannica: il fotografo era Roger Fenton.
Fenton si spostava lungo il fronte su un ingombrante carro, con le sue attrezzature (lastre di vetro e taniche di prodotti chimici), un letto ed i viveri (per sé ed anche per i cavalli).
Nella primavera del 1855 scattò circa 360 foto, in condizioni estremamente difficili. Lavorava all'alba per evitare il caldo eccessivo stando ben attento a non destare l'attenzione dell'artiglieria russa.
Alla fine del mese di giugno venne colpito dal colera e fu costretto a rientrare in Gran Bretagna: a Londra fu poi allestita una mostra con quasi tutti i suoi scatti.
La guerra non è stata più la stessa, da quella campagna militare, e con la diffusione dei media sempre più cittadini hanno potuto rendersi conto in maniera evidente di quale fosse il vero volto della guerra, ovunque si presentasse.
Il volto della morte e della distruzione.